Altruismo, Bellezza, Civismo, Digitalizzazione, Esperienza, Fiducia, Gratitudine, Innovazione, Largelearning, Memoria, Novità, Opportunità, Produttività, Qualità, Realtà Aumentata, Smart-Working, Trasformazione, Umanità, Virtù. Nuova normalità, nuovo vocabolario. Nel corso di questa inaspettata, tragica pandemia globale, nuove parole dalle differenti capital letter hanno acquistato rilevanza strategica. È dunque doveroso che questi vocaboli non rimangano appannaggio delle nostre quarantene e che, seppur in ordine sparso e al contempo interconnesso, divengano pilastri, tanto ideali quanto concreti, della fase After Covid (A.C.), come la ha chiamata Thomas Friedman sul New York Times lo scorso aprile.

Il virus è stato fautore, in un certo qual senso, di shock che hanno generato, a loro volta, cambiamenti esogeni in ciascun essere umano. Una trasformazione che si è manifestata con una accelerazione netta dei processi di apprendimento nelle due fasi cruciali della vita di un individuo, la formazione, scolastica e universitaria, e il lavoro, ma allo stesso tempo con lo sviluppo di un nuovo senso civico. La mutazione delle routine ha consentito un nuovo approccio alla vita, con diverse modalità di interazione nei rapporti umani e nelle relazioni interpersonali, che hanno manifestato un implicito senso di gratitudine verso chi ha combattuto la battaglia e ancora oggi la combatte in prima linea negli ospedali.

Una volta comprese le modalità di un potenziale contagio, ciascuno di noi, nel rispetto di nuove leggi, ha riformulato le proprie abitudini, sviluppando, con un modus vivendi votato all’altruismo, nuove responsabilità, al fine di salvaguardare la propria salute e quella della collettività. La bellezza della solidarietà si è declinata nella disponibilità di milioni di volontari che, in tutto il globo, hanno prestato aiuto in ogni maniera possibile, consegnando la spesa agli anziani, cucendo mascherine o raccogliendo denaro per i bisognosi e per le istituzioni sanitarie.

La straordinaria duttilità e trasversale apertura alla novità che giovani, adulti, madri e padri di famiglia, in poche parole esseri umani, hanno dimostrato, rappresentano l’emblema di un nuovo civismo, letteralmente inteso come dedizione dei cittadini al benessere delle loro comunità. Fisico, sì, oltre che sociale, perché ciascun individuo ha compreso autonomamente che avrebbe dovuto radicalmente mutare il proprio stile di vita e i comportamenti per tutelare sé stesso e gli altri, imparando a convivere e a gestire tempi, spazi e relazioni, con modalità profondamente diverse.

Per anni abbiamo parlato della centralità dell’educazione civica nelle scuole: oggi ci accorgiamo che il termine “civismo” significa anche rispondere alla propria coscienza. Se non rispettassimo le distanze, in primis, meneremmo a rischio chi ci è di fronte. Oggi l’umanità, forte di una così intensa esperienza condivisa, sta gradualmente entrando in un nuovo mondo, in una nuova era. Come ha scritto lo scrittore di fantascienza Kim Scanley Robinson: «Stiamo apprendendo la nostra strada verso una nuova struttura di sentimenti». Ed è proprio il verbo “apprendere” che dobbiamo costantemente considerare al centro delle nostre riflessioni.

“Ad – prendere”: l’etimologia latina del verbo ci ricorda che, da questa tragica esperienza, abbiamo acquisito quel valore aggiunto che il cosiddetto “CoviDizionario” riassume appieno, qualcosa che dobbiamo scampare nella nostra memoria, come una serie di istantanee su una pellicola che è già parte integrante della nostra vita.

Dalla Guinea alla Finlandia, dal Cile alla Nuova Zelanda, il diritto all’istruzione e il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità, un lavoro legale e retribuito, per assicurare il proprio sostentamento, hanno subito trasformazioni inedite.

Se nel Before Covid (B.C.) ci eravamo quasi abituaci a sentirci dire che il digitale e l’intelligenza artificiale avrebbero sostituito le nostre mansioni, con l’esplosione della pandemia abbiamo assistito a un ribaltamento di questa concezione. Abbiamo focalizzato, il ruolo della tecnologia nelle nostre vite, con strumenti che necessitano di essere utilizzati, analizzati, compresi oggi più attentamente, per capire quale direzione prendere, come inserirsi in un’ottica di cambiamento così apertamente dichiarata. L’uomo ha infatti acquisito la consapevolezza che senza Internet, senza il digitale e senza la connessione, il mondo si sarebbe davvero paralizzato, con conseguenze irreparabili. Le nostre case, aule e uffici improvvisati, si sono trasformati in rifugi collettivi e fucine di nuove sperimentazioni. Se con queste nuove modalità, gli studenti hanno “imparato a imparare”, i lavoratori hanno appreso un nuovo engagement lavorativo.

La digitalizzazione del learning ha consentito infatti a milioni di giovani in tutto il mondo di proseguire i processi di formazione, di continuare a crescere, interagendo con professori e compagni da lontano, con la sensazione di essere anche più vicini di prima. La smaterializzazione della classe fisica ha infatti aumentato l’intensità nel rapporto docente-discente, i cui feedback perlopiù entusiasti consentono di aumentare gli orizzonti di un apprendimento sempre più ampio e dunque denso di opportunità.

Milioni di dipendenti di aziende e impiegati pubblici, invece, hanno ad-preso che la tecnologia è un mezzo, e non un fine, utile per dare continuità al lavoro e che permette di mantenere una seppur alternativa, attitudine alla socialità con i propri colleghi. L’ampio sviluppo dello smart working si è ancorato a una visione innovativa nel rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente, tra i quali la flessibilità ha infatti consentito di generare un nuovo patto implicito per lasciare nell’armadio gli scheletri della sfiducia gerarchica e, secondo un recente studio condotto da One-poll, ha aumentato la produttività stessa dei dipendenti.

In sostanza, come ha affermato Gideon Lichfield, direttore del MIT Technology Review: «Quello che conta non è la tecnologia in sé, ma utilizzarla per fini che garantiscano qualità».

Insieme, inaspettatamente, abbiamo adottato un approccio vicino a quello che i futurologi chiamano “Trans-Umanesimo”, dottrina che, anziché rifuggire o cercare di combattere la loro influenza, abbraccia la tecnologia e il digitale come amplificatori dell’uomo. Il domani è pieno di incertezze, ma potrà essere anche colmo di traiettorie di crescita, qualora decidessimo di integrare le innovazioni che la pandemia ha implementato nelle nostre vite, soprattutto nella educazione e nel mondo del lavoro, con il set di virtù civiche, come il rispetto e la consapevolezza dell’altro, che abbiamo inaspettatamente riscoperto.

Mettiamo al centro della nostra realtà aumentata queste nuove keyword, questo nostro nuovo glossario, e solo così saremo in grado di dare continuità alla discontinuità: forse non ce ne rendiamo ancora conto, l’impossibile è già avvenuto.