Uno dei più bei romanzi mai scritti è L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquez. Una storia d’amore intensa fatta di attese e passioni, vissuta sullo sfondo di un’epidemia di colera nella seconda metà del XIX secolo. Oggi, pur in tutt’altro contesto, stiamo vivendo un’emergenza analoga e al contempo senza precedenti.

Il Coronavirus ha messo alla prova non solo i nostri sistemi sanitari, ma ancor di più quelli sociali. Questo virus particolarmente contagioso e per il quale non esiste ancora una cura, che pur originato da una regione relativamente piccola in Cina é riuscito a fare il giro del mondo in pochissime settimane, ha visto scontrarsi virologi sul fatto che fosse poco più di una influenza stagionale o una vera pandemia. L’informazione ha giocato un ruolo-chiave anche per darci un’idea del potenziale letale, oltre che contagioso, del virus. Tuttavia, l’incertezza di quale minaccia realmente avessimo di fronte ha generalo una paura senza precedenti e portato ad adottare misure di contenimento drastiche. Supermercati presi d’assalto, assembramenti di varie forme ormai vietati e da ultimo anche scuole chiuse. La fenomenologia sociale di questo virus apre però a ulteriori riflessioni su cosa voglia dire essere umani oggi.

Le varie epidemie, influenzali e non, dei secoli scorsi hanno mietuto centinaia di migliaia, se non milioni, di vittime in pochissimo tempo. Si sono distrutte intere società, di base perché mancavano conoscenza e comunicazione. Oggi è molto diverso, perché la conoscenza scientifica che abbiamo acquisito ci fornisce accurati strumenti di prevenzione e persino la quarantena é più lieve. La tecnologia ci consente di essere comunque connessi con gli altri: possiamo comunicare con i social media, possiamo lavorare da casa grazie a strumenti di videoconferenza e ordinare la spesa a domicilio per evitate di andare al supermercato. Se siamo isolati, lo siamo solo fisicamente. Abbiamo cambiato le nostre interazioni e i nostri ritmi Comunichiamo in altro modo e ci salutiamo persino in modo diverso. Siamo più distanti, impauriti da un contagio potenzialmente imminente. Limitiamo gli spostamenti, in questo modo riducendo anche le emissioni di anidride carbonica complessive.

Secondo le stime della rivista Carbon Brief, la riduzione dell’utilizzo di carbone e petrolio nell’industria cinese, che é complessivamente rallentata negli ultimi due mesi, ha portato una riduzione di CO2, del 25% nelle sole due settimane del Capodanno cinese 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Non siamo in grado di definire con certezza il virus, ma è certo che questo periodo di misure di contenimento forzato di un contagio non bene identificato ci ha portato a ripensare la nostra vita ben più di quanto ci aspettassimo. Se da un lato abbiamo capito che molti spostamenti fisici sono superflui e iniziato a usare strade alternative, dall’altro stiamo iniziando a sperimentare un modello di vita più digitalizzata, cloud-based. Abbiamo imparato certamente a rallentare i ritmi di sempre, ma anche ad assaporare un pochino il futuro che pensavamo più lontano.

La digitalizzazione offre un potenziale enorme di allargamento dei confini. La sfida sarà mantenere l’umanità e la connessione con chi ci sta intorno, anche quando tutto sarà rientrato alla normalità. Ripenseremo allora, come nel romanzo di Garcia Marquez, a quelle emozioni che la digitalizzazione non potrà mai emulare davvero. A quella umanità recuperata.